Data pubblicazione: 07/04/2025  prot. 26633 - 07/04/2025

parere in merito alla validità dei provvedimenti di risoluzione unilaterale adottati ai sensi dell’articolo 72, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, a seguito dell’abrogazione dell’istituto, disposta ai sensi dell’articolo 1, comma 164, della legge n. 207 del 2024.

I provvedimenti di risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro adottati entro il 31 dicembre 2024, ai sensi dell’articolo 72, comma 11, del decreto-legge n. 112 del 2008, conservano piena validità ed efficacia, non essendo incisi dall’abrogazione disposta dall’articolo 1, comma 164, della legge n. 207 del 2024, in applicazione del principio di irretroattività della legge e tenuto conto della natura facoltativa e discrezionale dell’istituto, purché adottati nel rispetto dei criteri generali preventivamente individuati e congruamente motivati in relazione alle esigenze organizzative dell’amministrazione.

Al Comune di omissis

 

Oggetto: parere in merito alla validità dei provvedimenti di risoluzione unilaterale adottati ai sensi dell’articolo 72, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, a seguito dell’abrogazione dell’istituto, disposta ai sensi dell’articolo 1, comma 164, della legge n. 207 del 2024.

 

 

Si fa riferimento al quesito posto con la nota prot. n. omissis, acquisita in pari data con protocollo DFP n. omissis, con la quale si chiedono chiarimenti in merito alla validità dei provvedimenti di risoluzione unilaterale di cui all’articolo 72, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, adottati dalle Amministrazioni nel corso del 2024 (nel rispetto dei 6 mesi di preavviso) nei confronti di quei dipendenti che hanno maturato entro il 31/12/2024 il requisito contributivo di 41 anni e 10 mesi per le donne e di 42 anni e 10 mesi per gli uomini, nonché nei confronti di coloro che li matureranno nei primi mesi del 2025.

 

In particolare, si chiede se, alla luce dell’abrogazione del citato articolo 72, comma 11, del decreto-legge n. 112 del 2008, disposta ai sensi dell’articolo 1, comma 164, della legge 30 dicembre 2024, n. 207, i predetti provvedimenti siano da considerarsi validi.

 

Al fine di fornire compiuta risposta al quesito prospettato, si rende preliminarmente opportuna una breve ricostruzione delle significative novità in materia di collocamento a riposo nell’ambito del pubblico impiego, introdotte dalla citata legge 30 dicembre 2024, n. 207.

 

Il primo profilo di analisi concerne l’introduzione della nuova disciplina in materia di limiti ordinamentali per il collocamento a riposo dei dipendenti pubblici. L’articolo 1, comma 162[1], infatti, ha disposto l’innalzamento dei limiti ordinamentali dei rispettivi settori di appartenenza, ove inferiori, al requisito anagrafico per il raggiungimento della pensione di vecchiaia di cui al comma 6 dell’articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214. In aggiunta a tale previsione, il successivo comma 163 ha abrogato il comma 5 dell'articolo 2[2] del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125. A seguito di tale abrogazione, a partire dal 1° gennaio 2025, è, quindi, venuto meno l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di collocare a riposo i propri dipendenti al compimento dei 65 anni di età, avendo gli stessi, a tale data, maturato i requisiti per il diritto al trattamento pensionistico anticipato (e dunque, 42 anni e 10 mesi per gli uomini, e 41 anni e 10 mesi per le donne).

 

Su tale nuovo quadro normativo è intervenuta la recente direttiva del Ministro per la pubblica amministrazione, pubblicata lo scorso 20 gennaio, con la quale sono state fornite alcune  indicazioni applicative del ricorso al trattenimento in servizio del personale, dirigenziale e non dirigenziale, delle amministrazioni pubbliche di cui si renda necessario continuare ad avvalersi anche per far fronte ad attività di tutoraggio e di affiancamento ai nuovi assunti e per esigenze funzionali non diversamente assolvibili.

 

Al riguardo, si è innanzitutto confermata la validità dei provvedimenti di cessazione dal servizio già adottati dalle amministrazioni per i dipendenti che hanno maturato il diritto alla pensione alla data del 31 dicembre 2024, cioè in presenza del previgente limite ordinamentale di 65 anni di età[3].

 

Di contro, non possono essere considerati coerenti con il quadro di riferimento sopra illustrato quei provvedimenti adottati entro il 31 dicembre 2024 - ai sensi del combinato disposto dell’articolo 24, comma 4, del decreto-legge n. 201 del 2011 e dell’articolo 2, comma 5, del decreto-legge n. 101 del 2013 - nei confronti di coloro che, alla data del 31/12/2024, non avevano ancora raggiunto il previgente limite ordinamentale dei 65 anni di età, i quali, dunque, dovranno rimanere in servizio fino al raggiungimento della nuova soglia anagrafica introdotta dall’articolo 1, comma 162, della legge n. 207 del 2024, fatta salva la possibilità di rassegnare dimissioni volontarie.

 

Il secondo profilo riguarda, invece, gli effetti dell’intervenuta abrogazione dell’istituto della risoluzione unilaterale di cui all’articolo 72, comma 11, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112[4], disposta ai sensi dell’articolo 1, comma 164, della legge n. 207 del 2024.

 

Come noto, tale istituto consentiva alle amministrazioni, fino al 31 dicembre 2024, di operare, con decisione motivata in riferimento alle esigenze organizzative e senza pregiudizio per la funzionale erogazione dei servizi, una risoluzione del contratto individuale di lavoro con quei dipendenti, anche dirigenti, che avessero maturato il diritto alla pensione anticipata, a prescindere dall’età anagrafica.

 

In questo ambito, gli orientamenti applicativi resi in merito dallo scrivente Dipartimento[5] avevano evidenziato la necessità che le amministrazioni, prima di procedere all’applicazione di questo istituto, avessero dovuto predeterminare criteri generali, calibrati a seconda delle proprie esigenze, in modo da seguire una linea di condotta coerente ed evitare comportamenti che conducessero a scelte contraddittorie. Tra le motivazioni adducibili per l’applicazione dell’istituto rientravano anche l’esigenza di riorganizzazione funzionale o la razionalizzazione degli assetti organizzativi delle amministrazioni.

 

Pertanto, alla luce di quanto esposto, considerata l’irretroattività dell’abrogazione disposta dall’articolo 1, comma 164, della legge n. 207 del 2024 – la quale non può, dunque, incidere su provvedimenti adottati, entro il 31 dicembre 2024, in forza della normativa vigente all’epoca – e tenuto conto della natura discrezionale e facoltativa di tale strumento, non si ravvisano motivazioni giuridiche, scaturenti direttamente dall’entrata in vigore della predetta disposizione legislativa sopravvenuta, tali da pregiudicare la validità e l’efficacia dei provvedimenti risolutori già assunti.


Il Direttore dell’Ufficio

Alfonso Migliore

Documento firmato digitalmente

ai sensi del Codice dell’Amministrazione Digitale

 


[1] Art. 1, comma 162, cit: All'articolo 24, comma 4, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al secondo periodo, le parole: «, fermi restando i limiti ordinamentali dei rispettivi settori  di  appartenenza,»  sono soppresse; b) è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Per i lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, restano fermi i limiti ordinamentali  previsti  dai  rispettivi  settori  di appartenenza che dal 1° gennaio 2025 si intendono elevati, ove inferiori, al requisito anagrafico per il raggiungimento della pensione di vecchiaia di cui al comma 6 del presente articolo»

[2] Art. 2 comma 5 cit:L'articolo 24, comma 4, secondo periodo, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214, si interpreta nel senso che per i lavoratori dipendenti delle pubbliche amministrazioni il limite ordinamentale, previsto dai singoli settori di appartenenza per il collocamento a riposo d'ufficio e vigente alla data di entrata in vigore del decreto-legge stesso, non è modificato dall'elevazione dei requisiti anagrafici previsti per la pensione di vecchiaia e costituisce il limite non superabile, se non per il trattenimento in servizio o per consentire all'interessato di conseguire la prima decorrenza utile della pensione ove essa non sia immediata, al raggiungimento del quale l'amministrazione deve far cessare il rapporto di lavoro o di impiego se il lavoratore ha conseguito, a qualsiasi titolo, i requisiti per il diritto a pensione.”

[3] Direttiva del Ministro per la pubblica amministrazione del 20 gennaio 2025: “il comma 162 della legge n. 207 del 2024, alla lettera a) ha abrogato l’obbligo per le pubbliche amministrazioni di collocare a riposo d’ufficio i dipendenti che hanno maturato, a qualsiasi titolo, i requisiti per il diritto alla pensione al raggiungimento del limite ordinamentale e, alla lettera b) ha innalzato il predetto limite ordinamentale, a decorrere dal 1° gennaio 2025, a 67 anni di età. Ciò posto, ne consegue che restano confermati i provvedimenti di cessazione dal servizio già adottati dalle amministrazioni per i dipendenti che hanno maturato il diritto alla pensione alla data del 31 dicembre 2024, cioè in presenza del previgente limite ordinamentale di 65 anni di età”.

[4] Art. 72, comma 11, cit. “Con decisione motivata con riferimento alle esigenze organizzative e ai criteri di scelta applicati e senza pregiudizio per la funzionale erogazione dei servizi, le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, incluse le autorità indipendenti, possono, a decorrere dalla maturazione del requisito di anzianità contributiva per l'accesso al pensionamento, come rideterminato a decorrere dal 1º gennaio 2012 dall'articolo 24, commi 10 e 12, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, risolvere il rapporto di lavoro e il contratto individuale anche del personale dirigenziale, con un preavviso di sei mesi e comunque non prima del raggiungimento di un'età anagrafica che possa dare luogo a riduzione percentuale ai sensi del citato comma 10 dell'articolo 24. Le disposizioni del presente comma non si applicano al personale di magistratura, ai professori universitari e ai responsabili di struttura complessa del Servizio sanitario nazionale e si applicano, non prima del raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età, ai dirigenti medici e del ruolo sanitario. Le medesime disposizioni del presente comma si applicano altresì ai soggetti che abbiano beneficiato dell'articolo 3, comma 57, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, e successive modificazioni.”

A ciò si aggiunga la disposizione prevista dall’art. 16, comma 11, del decreto - legge 6 luglio 2011 n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011 n. 111: “In tema di risoluzione del rapporto di lavoro l'esercizio della facoltà riconosciuta alle pubbliche amministrazioni prevista dal comma 11 dell'articolo 72 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, non necessita di ulteriore motivazione, qualora l'amministrazione interessata abbia preventivamente determinato in via generale appositi criteri di applicativi con atto generale di organizzazione interna, sottoposto al visto dei competenti organi di controllo.”

[5] Parere DFP-0054803-P-18/08/2021 e Circolare DFP n. 2 del 2015.